Accompagnare senza portare; queste tre parole mi sembra riassumano al meglio il nostro compito di formatori e responsabili del Servizio civile volontario realizzato all’interno di un organismo come Caritas Italiana.
Accompagnare dunque, per dodici lunghi ed intensi mesi giovani che provengono da mondi così vicini a noi, magari anche dalle parrocchie, e che però ci svelano tutta la loro diversità ed unicità da farli sembrare a volte, molto lontani dai nostri orizzonti culturali e valori di riferimento.
Quando pensiamo assieme al mio collega i progetti di Servizio civile a Modena, è come se preparassimo la venuta del giovane molti mesi in anticipo; è come se fosse una lunga gestazione per la realizzazione del progetto stesso. Ed è un tempo ricco di attesa, riflessione, confronto con i Centri Operativi, continua messa in discussione di quanto fatto fino ad allora per creare un clima di accoglienza vera, dell’altro, provando a valorizzare i suoi punti di forza e riconoscendo le debolezze.
Poi… si parte. E c’è tutta la fase della conoscenza reciproca, del definire il patto formativo, di chiarire qual è il punto di partenza e dove si vorrebbe arrivare. In questi anni abbiamo potuto davvero ammirare come tante persone, a partire dal confronto con gli ultimi, abbiano trasformato le loro vite, arrivando a fare scelte personali inaspettate. E non mi riferisco solo alla sfera lavorativa… penso piuttosto all’area del “saper essere”, quella degli atteggiamenti, che resta la cartina al tornasole di quanto davvero abbiamo appreso dalle esperienze.
Si sono creati legami di amicizia, che mi hanno portato a festeggiare anche momenti importanti della mia vita con alcune di loro, e ad essere testimone di alcune loro scelte significative, condivise con gioia.
Condivido in questa breve riflessione anche la sofferenza e un po’ di delusione per tutte quelle persone che hanno scelto di non mettersi in gioco, di non lasciarsi un po’ contagiare dalla nostra proposta e soprattutto dai volti dei poveri. Mi dispiace per tutte quelle persone che continuano a pensare “non tocca a me” o “che c’entro io?” o “ho già fatto abbastanza” invece di aver assunto il motto di don Lorenzo Milani “I care”, “mi interessa”, mi riguarda e mi sta a cuore.
Tuttavia continuo a investire con fiducia energie in questo strumento di lavoro, nella convinzione che sia necessario oggi, più che mai, educare coscienze critiche, persone che pensino ed agiscano non solo mossi dal tornaconto personale ma piuttosto dal bene comune. Sono felice di poter allora poter dare il mio contributo affinché più che “professionisti della solidarietà” crescano onesti cittadini.
Federico Valenzano
Caritas diocesana di Modena-Nonantola
Ti capisco perfettamente perchè animo o meglio mi sono resa disponibile ad animare un gruppo di giovani della Parrocchia, e anche a me nel passato è capitato di provare la tua stessa sofferenza e delusione, adesso però va meglio, molto meglio. Quest’anno era mio desiderio che i ragazzi e le ragazze che giorno 29 Ottobre fanno la Cresima si inserissero nel movimento giovani – su 17 se ne sono inseriti soltanto due. Capisco la loro stanchezza di 5 anni di catechismo: 2 per l’Eucariastia e tre per la Cresima, ma ci sono rimasta male lo stesso. Ho però la Speranza che qualcuno faccia marcia indietro. Ti auguro che chi ha già capito il motto di don Milani “I Care”, guidato dallo Spirito, aiuti gli altri a comprendere. Ciao Rosaria