Il 10 gennaio 1908 il settimanale degli indiani del Sudafrica “Indian Opinion” pubblicava per la prima volta la parola “satyāgraha”, letteralmente “Forza più grande, generata dalla Verità e dall’Amore”, che da allora divenne il nome ufficiale del movimento e del metodo di lotta promosso da M. K. Gandhi. Il nome era il risultato di un concorso indetto da Gandhi il 18 dicembre 1907 per trovare un termine che sapesse cogliere in pieno lo spirito nonviolento delle sue campagne.
L’11 settembre 1906, nel Teatro Imperiale di Johannesburg in Sud Africa, c’era già stata una grande assemblea di immigrati indiani, promossa da Gandhi, nella quale si decise di intraprendere una campagna di disobbedienza civile alle leggi discriminatorie del cosiddetto “Black Act”. Gandhi riconobbe in quell’evento l’atto di nascita del “satyāgraha”, anche se all’epoca le sue campagne erano indicate col termine “resistenza passiva” e la parola tradizionale “ahimsa” ossia “non violenza”. Tuttavia tale termine sembrò a Gandhi negativa per il ‘non’ iniziale (così pure ad Aldo Capitini in Italia, che suggerì di unire in un’unica parola il ‘non’ e ‘violenza’ per superare così l’aspetto negativo e mettere in rilievo la proposta positiva).
La pratica della nonviolenza proposta da Gandhi ha segnato anche la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile: proprio Capitini si fece portavoce in Italia di questa idea, che ispirò poi il primo obiettore italiano per motivi di coscienza, Pietro Pinna, nel 1948.