Da tempo, tra le proposte di riforma del servizio civile nazionale avanzate da molti enti, c’è quella di un’apertura anche ai giovani stranieri, possibilità già attuata da molte leggi regionali. Su questo aspetto però, il Sottosegretario con delega al servizio civile, on. Giovanardi, ha sempre risposto che «aprire il servizio civile nazionale ai ragazzi stranieri è una cosa costituzionalmente impossibile. Se la finalità del servizio civile nazionale è la difesa della patria in modo non armato e nonviolento bisogna essere cittadini italiani». Ma è proprio così? Abbiamo chiesto ad alcuni giuristi di darci il loro parere, come il prof. Francesco Dal Canto, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Pisa, che ci dice «affermare, com’è innegabile, che l’art. 52 della Costituzione si riferisce esplicitamente soltanto ai cittadini non significa automaticamente concludere che l’eventuale estensione del servizio civile agli stranieri debba essere ritenuta incostituzionale». Leggi di seguito tutto l’intervento del prof. Dal Canto oppure scarica il testo in formato PDF.
SERVIZIO CIVILE NAZIONALE E STRANIERI
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prof. Francesco Dal Canto*
Una recente proposta di legge, d’iniziativa dell’on. Livia Turco, mette in forma di articolato l’idea, non nuova, di estendere ai giovani stranieri residenti in Italia l’esperienza del servizio civile nazionale di cui alla legge n. 64/2001. Dinanzi a tale proposta, fortemente voluta dal CNESC e che giunge mentre è pendente in Parlamento la legge delega di riforma del servizio civile, il sottosegretario Carlo Giovanardi ha assunto una posizione di netta chiusura in ragione dell’“evidente incostituzionalità” della stessa, dal momento che il “sacro dovere di difesa della patria”, alla cui soddisfazione è teso il servizio civile, può avere come destinatari soltanto i cittadini.
Sotto il profilo strettamente giuridico la secca risposta di Giovanardi, che ritiene manifestamente incostituzionale l’estensione del servizio civile agli stranieri residenti, mi pare un po’ precipitosa. Alla luce sia dell’evoluzione legislativa in tema di “difesa” che della giurisprudenza costituzionale in materia, la questione merita, quanto meno, un esame più approfondito. Affermare, com’è innegabile, che l’art. 52 Cost si riferisce esplicitamente soltanto ai cittadini non significa automaticamente concludere che l’eventuale estensione del servizio civile agli stranieri debba essere ritenuta incostituzionale.
Innanzi tutto, vale la pena ricordare che l’idea che esclusivamente il cittadino possa essere destinatario del dovere di difendere la patria, e con esso, in particolare, dell’obbligo di prestazione del servizio militare, non è mai stata interamente accolta dal legislatore. Già la legge 555/1912, sulla disciplina della cittadinanza italiana (poi confermata sul punto dalla legge n. 91/1992), prevedeva che coloro i quali, trovandosi in determinate situazioni, avevano volontariamente perduto la cittadinanza italiana o non risultavano titolari di alcuna cittadinanza (apolidi) non potevano sottrarsi all’obbligo del servizio militare. E la Corte costituzionale, chiamata ad accertare la legittimità costituzionale di tale previsione, già nel 1967 (sent. n. 53/1967) osservò che, per quanto il dovere di difesa della patria doveva intendersi riferito ai soli cittadini, tale conclusione “non comporta però, per sé sola, l’esclusione della possibilità che una legge ordinaria imponga anche a soggetti non cittadini, o addirittura stranieri, in particolari condizioni, la prestazione del servizio militare”. Anni più tardi la Corte costituzionale (sent. n. 172/1999) fu ancora più esplicita: pur confermando che l’art. 52 della Costituzione si riferiva ai soli cittadini italiani, affermò che ciò “non esclude l’eventualità che la legge, in determinati casi, ne stabilisca l’estensione”.
In altre parole, anche secondo la giurisprudenza costituzionale, nel confermare la legittimità dell’estensione del servizio militare agli apolidi, il silenzio dell’art. 52 non doveva necessariamente essere interpretato come un divieto di estensione, dal momento che esiste – sono ancora parole della Corte – “uno spazio vuoto di diritto costituzionale nel quale il legislatore può far uso del proprio potere discrezionale nell’apprezzare ragioni che inducano a estendere la cerchia dei soggetti” chiamati all’assolvimento del dovere di difesa della patria.
Quindi, se è vero che la Consulta ha stabilito che il dovere di difesa ha una valenza costituzionale per i soli cittadini, è tuttavia possibile, con riguardo all’eventualità di estendere ad altri soggetti prestazioni specifiche collegate a quel dovere, riconoscere al legislatore ordinario una certa “libertà di manovra”. La Costituzione, in conclusione, né impedisce né obbliga il legislatore a coinvolgere gli stranieri nell’esperienza del servizio civile.
Vi è un ultimo problema. La Consulta nelle sue pronunce si riferiva soprattutto agli apolidi (coloro che sono privi in assoluto di cittadinanza), ammettendo che per gli stranieri (cittadini di un altro Stato) vi fosse un problema in più: per loro, infatti, in quanto titolari di doppia cittadinanza, poteva verificarsi il rischio di un “conflitto tra opposte lealtà” ai due diversi ordinamenti statali. Pericolo, tuttavia, che oggi, a differenza del periodo cui si riferiva la Corte costituzionale, pare assai ridimensionato, non soltanto perché esso si registra assai più con riguardo al servizio militare che a quello civile, ma anche perché la prestazione del servizio civile, come si sa, non è più obbligatoria bensì facoltativa. In ultima analisi, estendere agli stranieri legalmente residenti in Italia la facoltà di prestare il servizio civile potrebbe giustificarsi nella misura in cui questi ultimi fanno effettivamente parte di una comunità di diritti più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto, per cui non sarebbe affatto irragionevole che il legislatore, al fianco dei diritti, estendesse a tali soggetti anche taluni doveri. E ciò, può aggiungersi, tanto più se si tiene conto che il dovere di difesa della patria ha perduto da tempo il significato originario di difesa dei confini nazionali per assumere quello, assai più ampio, di una difesa del complessivo ordinamento costituzionale.
*Francesco Dal Canto è Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Pisa. Il suo ultimo libro, appena uscito, scritto con il prof. Pierluigi Consorti, è “La difesa della Patria. Con e senza armi”, ed. FrancoAngeli.