Redattore Sociale in occasione della presentazione del XIII Rapporto Cnesc, intervista Diego Cipriani, già direttore generale dell'Ufficio nazionale. «Bene la delega a Riccardi, ministro proveniente dall'associazionismo – commenta -. In quattro anni le risorse sono diminuite del 400%: nonostante la crisi si debbono trovare nuove risorse».
Come giudica l’assegnazione della delega sul servizio civile al ministro Riccardi?
«È un fatto molto positivo. Credo che un ministro proveniente dal mondo dell’associazionismo e dalla società civile non può che essere meglio disposto nei confronti di un sistema, quello del servizio civile, che nel nostro Paese si regge da quasi quarant’anni praticamente sugli enti del terzo settore. Inoltre, la sua personale esperienza sui temi della pace e della riconciliazione potrebbe giocare un ruolo determinante nel sottolineare la prima e vera vocazione del servizio civile, come servizio di pace, una dimensione che mi pare un po’ appannata negli ultimi tempi. Mi piace ricordare che in Albania in questo momento ci sono sei “caschi bianchi” impegnati in un progetto di servizio civile, realizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, dalla Focsiv e dalla Caritas Italiana, che vuole proprio sperimentare forme di risoluzione nonviolenta dei conflitti sociali e di riconciliazione. Un campo sul quale occorre continuare ad investire».
L’altro elemento legato all’attualità è certamente quello della riduzione dei fondi.
«Le cifre non possono essere smentite: in quattro anni le risorse destinate al servizio civile sono diminuite del 400%, passando dai 300 milioni di euro del 2008 ai 68 milioni dell’anno prossimo. Questo significa che i fondi dell’anno prossimo non riusciranno a coprire tutte le spese dei 20 mila volontari del bando indetto lo scorso settembre ed è per questo che l’Ufficio nazionale è stato costretto a diluire tra gennaio e ottobre 2012 le partenze dei progetti».
Con quali conseguenze?
«Che progetti pronti per essere avviati a gennaio inizieranno invece a ottobre e con migliaia di volontari che hanno superato le selezioni a novembre 2011 e che magari inizieranno il servizio dopo un anno. Una situazione del genere non si vedeva dai tempi del ministero della difesa, che lasciava passare più di un anno dal momento in cui un obiettore faceva domanda a quando poteva iniziare il suo servizio civile. L’apice poi lo si raggiunse nell’estate del 1999 quando il ministero comunicò di aver esaurito i fondi per pagare gli obiettori e bloccò le nuove partenze. Se la situazione non cambia, c’è il rischio che i ragazzi si disaffezionino sempre più al servizio civile e che lo considerino un’ulteriore inutile “area di parcheggio”. Eppure nell’immediato basterebbero 50 milioni di euro per riportare in equilibrio la situazione. Credo che, nonostante la crisi, si debbano trovare nuove risorse».
Nel frattempo?
«Si potrebbe mettere mano alla riforma della legislazione. È unanimemente riconosciuta la necessità di modificare la legge del 2001. Nei due rami del Parlamento giacciono proposte di modifica: credo che ci sia il tempo sufficiente per fare una nuova legge, alla luce dell’esperienza di questi anni che ha costituito anche per gli altri paesi europei un punto di riferimento. Non necessariamente si dovrà partire dal testo presentato dal precedente governo: l’importante è cominciare la discussione, prima che il servizio civile muoia, e non credo di esagerare».
Oggi la Cnesc presenta il suo annuale Rapporto sul servizio civile, e lo fa alla fine dell’anno in cui l’Italia ha celebrato i 150 anni dell’Unità. Che significato ha parlare di servizio civile in questo contesto?
«Certamente il servizio civile, prima degli obiettori di coscienza, oggi invece volontario, è un’esperienza abbastanza giovane: l’anno prossimo saranno 40 anni che esiste in Italia. E tuttavia mi pare di affermare che è diventato un comportamento “normale” tra i giovani del nostro Paese che hanno mostrato di gradirlo e volerlo sperimentare. Basti pensare non solo ai quasi 300 mila giovani che lo hanno svolto in questi dieci anni, ma anche ai tantissimi che, pur avendo chiesto di svolgerlo, non hanno potuto accedervi: oggi, per ciascun posto messo a bando, ci sono almeno 3 o 4 aspiranti. Parafrasando una frase non mia, se il servizio civile non ha fatto l’Italia, ha sicuramente fatto gli italiani. Perché ha dato a migliaia di giovani l’occasione di rendersi utili alle nostre comunità, di frequentare una vera scuola di cittadinanza e di esercitare quel dovere di solidarietà che la Costituzione prevede. Per questo il servizio civile non può morire». [Fonte: Redattore Sociale]