Ricordare Hiroshima e Nagasaki

Il mattino del 6 agosto 1945, 63 anni fa, fa una bomba atomica lanciata da un aereo americano distruggeva la città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo una bomba simile veniva sganciata sulla città di Nagasaki. Oltre 100.000 persone morirono direttamente per l’esplosione atomica, e migliaia nei mesi ed anni successivi per l’effetto delle radiazioni. Era la fine del conflitto mondiale con il Giappone e l’inizio dell’era atomica. Successivamente nella Costituzione (imposta dagli Stati Uniti) emanata il 3 novembre 1946, il Giappone all’art. 9 sancì che “aspirando sinceramente ad una pace internazionale, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra. […] Non saranno mantenute forze di terra, di mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici”.

Nella sua “lettera ai giudici” del 18 ottobre 1965 scriverà don Milani: “Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all’uomo d’oggi. E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. […] C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico”.

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