Servizio civile nazionale e giovani stranieri/2

Banner_scn_immigrati Dopo l’intervento del prof. Dal Canto della scorsa settimana, nel nostro approfondimento dedicato alla questione dell’apertura del servizio civile nazionale agli stranieri, ospitiamo oggi il contributo del prof. Pierluigi Consorti, associato di diritto ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa e docente garante del Corso di laurea in Scienze per la pace, sempre a Pisa. Anche per Consorti l’apertura del scn agli stranieri è possibile: «la legge potrebbe consentirlo senza causare nessunissimo vulnus al dettato costituzionale» E poi lancia una proposta per il servizio civile all’estero: «Le modalità di svolgimento di queste forme di servizio civile sono a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri: che, a mio parere, potrebbe tranquillamente ammettere sin d’ora la presenza di cittadini dei Paesi in cui si va ad operare accanto agli italiani (che in tali casi sono “stranieri”!). La realizzazione degli obbiettivi enunciati nell’art. 9 della legge 64/2001 non può prescindere dal coinvolgimento della popolazione locale in questo tipo di progetti di servizio civile nazionale. Mi sembra un buon argomento per considerare non solo plausibile ma auspicabile il superamento dell’attuale limitazione fondata sulla cittadinanza». Leggi di seguito tutto l’intervento oppure scarica il testo in formato PDF.


SERVIZIO CIVILE NAZIONALE E STRANIERI
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prof. Pierluigi Consorti*

La recente presentazione del disegno di legge governativo di riforma del servizio civile nazionale ripropone la questione della cittadinanza dei giovani “volontari”. Com’è noto, l’attuale formulazione della legge limita la fruibilità dell’esperienza ai soli cittadini italiani: un tema non affrontato dalla riforma. Tuttavia molti vorrebbero estendere la possibilità di prestare il servizio civile nazionale anche agli stranieri, e alla Camera siede una proposta che riguarda gli stranieri regolarmente soggiornanti. Innanzitutto va segnalata che il limite in questione è scarsamente coerente rispetto ai cittadini di altri Stati dell’Unione europea. La finalizzazione del servizio civile nazionale alla difesa della Patria non può non essere intesa in armonia col più generale processo di integrazione europeo. I cittadini europei difendono la medesima Patria; difatti in termini militari è stata raggiunta un’articolata capacità di intervento comune fra le diverse Forze armate, sia nell’ambito dell’Alleanza atlantica sia nel più specifico campo della Politica comune di sicurezza. Il fatto che tale equilibrio non sia stato ancora trovato (e, forse, nemmeno ricercato) nel settore della difesa civile, e del servizio civile in particolare, dovrebbe portare il legislatore a rimediare alla lacuna riformando tempestivamente la legge attuale almeno su questo punto.

Va poi osservato che la Costituzione repubblicana impone ai cittadini il «sacro dovere di difesa della Patria» (art. 52) senza escludere che anche “non cittadini” possano concorrere ad assolvere la medesima funzione. La Corte costituzionale ha nel passato sentenziato che la legge avrebbe potuto legittimamente imporre l’obbligo militare anche agli stranieri. Ormai non è più tempo di obbligo: perciò la questione deve essere aggiornata nel senso che la legge non solo potrebbe, ma probabilmente dovrebbe garantire la possibilità di difendere la Patria anche ai non cittadini. Specialmente se per Patria intendiamo la sostanza dei valori che sottendono alla cittadinanza comune: che è appunto europea oltre che italiana, come confermano tutti i nostri passaporti.

Nel caso del servizio civile nazionale, inoltre, la funzione di difesa della Patria non può essere semplicisticamente accostata alla parallela forma della difesa militare. Pur rispondendo entrambe all’unico dovere di difesa, le due forme (civile e militare) non sono soltanto diverse, ma alternative (come pacificamente ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale sulla base dell’art. 1 dell’attuale legge 64 del 2001, non toccato dalla riforma). Peraltro, nel caso dei cittadini dell’Unione europea, non può essere fatta valere la tradizionale opposizione all’ipotesi di estensione a causa di un potenziale conflitto fra opposte lealtà, in passato adombrato da chi resisteva alla possibilità di ammettere gli stranieri (e non solo gli apolidi) al servizio militare. Si tratta però di un tema superato, poiché oggi non si parla più di obbligo, ma di volontarietà del servizio sia civile sia militare.

In modo parzialmente diverso si presenta tuttavia la possibilità di ammettere al servizio civile nazionale cittadini “non comunitari”. Va da sé che, per quanto si è già detto, la legge potrebbe consentirlo senza causare nessunissimo vulnus al dettato costituzionale. Le proposte più volte avanzate sottolineano l’aspetto sociale, specialmente in vista di una maggiore integrazione degli stranieri e delle straniere nel tessuto sociale. In qualche modo esse ragionano come se si volesse estendere agli “stranieri regolari” una facoltà riservata ai cittadini. Si tratta di un significativo elemento di riflessione, che potrebbe essere utilmente rafforzato se si tenesse maggiormente conto che il servizio civile, benché volontario, si iscrive nella logica dell’assolvimento dei doveri prima ancora che in quella dei diritti. Un dovere non obbligatorio che si sostanzia in una più diretta partecipazione alla vita della comunità civile, attraverso il quale si dà vita a forme di cittadinanza attiva che non si vede perché debbano restare precluse agli stranieri.

Non è questa la sede per approfondire il ragionamento sull’eventuale limitazione ai soli “stranieri regolari” (figlia di un malinteso multiculturalismo che distingue le persone in base alla cittadinanza ed alle condizioni giuridiche soggettive), ma non si può tacere che il servizio civile nazionale può essere svolto anche all’estero, sia presso sedi ove sono realizzati progetti di servizio civile da enti italiani, sia nell’ambito di iniziative assunte dall’Unione europea, nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli istituite dalla stessa Unione europea o da altri organismi internazionali (art. 9). Le modalità di svolgimento di queste forme di servizio civile sono a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri: che, a mio parere, potrebbe tranquillamente ammettere sin d’ora la presenza di cittadini dei Paesi in cui si va ad operare accanto agli italiani (che in tali casi sono “stranieri”!). La realizzazione degli obbiettivi enunciati nell’art. 9 non può prescindere dal coinvolgimento della popolazione locale in questo tipo di progetti di servizio civile nazionale. Mi sembra un buon argomento per considerare non solo plausibile ma auspicabile il superamento dell’attuale limitazione fondata sulla cittadinanza. Un efficace servizio di pace che difende la Patria senza armi non può essere limitato sulla base di condizioni soggettive che prescindono dalla sostanza delle relazioni sociali.

*Pierluigi Consorti è Professore Associato di diritto ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, membro del Dipartimento di diritto pubblico, aderisce al Cisp ed è docente garante del Corso di laurea in Scienze per la pace, dove insegna “Legislazione del Terzo settore” e “Diritti umani, religioni e pace”. Il suo ultimo libro, appena uscito, scritto con il prof. Francesco Dal Canto, è “La difesa della Patria. Con e senza armi”, ed. FrancoAngeli.

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