Lo scorso 11 dicembre il Consiglio Comunale di Padova ha assegnato, all'unanimità, in occasione del 40° della legge n. 772/72, la
cittadinanza onoraria [PDF] per "meriti di pace" ad Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza degli anni settanta, che vive nel padovano da sempre. Con sua moglie Claudia Bernacchi ci racconta l'esperienza di quegli anni, raccolta anche nel suo libro "Ho spezzato il mio fucile", e ci ringrazia per il lavoro di informazione che facciamo.
Alberto e Claudia a fine dicembre festeggiano proprio i loro primi 40 anni di vita insieme come famiglia. Il 23 dicembre 1972 Alberto usciva dall’allora carcere militare di Peschiera del Garda, il giorno dopo dall’entrata in vigore della legge 772/72 avendo scontato mesi di carcere come obiettore di coscienza. Claudia era una della tante persone che aderivano a gruppi di diversa estrazione, che in maniera molto attiva sostenevano le scelte degli obiettori sia in una ottica antimilitarista e sia come affermazione dei valori della nonviolenza. Alberto aveva obiettato il 9 giugno 1970, quando si presentò alla caserma dell’Aquila dove era stato assegnato per il servizio di leva. Incoraggiato a più riprese dallo stesso mons. Giovanni Nervo, allora Presidente di Caritas Italiana e dallo scomparso Giancarlo Zizola, giornalista e vaticanista, vicino agli obiettori fin dagli anni settanta.
Alberto non ha avuto l’obbligo di svolgere il servizio civile avendo scontato, a più riprese dal 1970 al 1972, 18 mesi di carcere militare usufruendo di quanto previsto all’art. 12 nel testo originario della legge 772/1972.
Come tutti gli obiettori incarcerati del tempo, Alberto ci racconta di essersi immaginato un servizio civile obbligatorio ben diverso da quello imposto dalla legge. Ricorda che l’iter per l’approvazione della legge, è stato lungo e sofferto, sostenuto da un movimento molto ampio di associazioni del tempo e di persone legate ai valori della nonviolenza e dell’antimilitarismo. Ricorda il lavoro febbrile dei parlamentari fra i quali Carlo Fracanzani, di Este (PD)e tanti altri, a cui si aggiungeva il lavoro degli avvocati come Paolo Berti e Giorgio Tosi, che insieme a Sandro Canestrini furono determinanti nel contribuire all’affermazione del diritto dell’obiezione di coscienza. In quelle fredde settimane di dicembre di 40 anni fa, Alberto stava, appunto, scontando la sua terza condanna a Peschiera con un regime “di carcere duro” (nel senso che gli obiettori in carcere da mesi vivevano isolati da tutti gli altri detenuti a cui si aggiungeva un sistema molto rigido di contatti anche epistolari con l’esterno). Erano un gruppo di obiettori, quelli che avevano le condanne ancora in atto in quelle settimane di dicembre. Altri obiettori erano stati, da poco, precedentemente scarcerati per aver scontato le loro pene. Tutti, però, avevano tutti il dubbio e il timore che la proposta di legge non sarebbe stata approvata in tempo utile primo dello scioglimento, per scadenza naturale, delle Camere. Era un timore molto reale dato il clima politico di quel tempo.
Se fosse accaduto che la legge non fosse stata approvata in tempo, Alberto sapeva che avrebbe rifatto, nei mesi successivi, la sua obiezione di coscienza perché il reato di renitenza alla leva o simile non veniva estinto dalla carcerazione e avrebbe ricevuto, così, la sua quarta cartolina di chiamata alla leva militare, obbligo, esistente, allora, per tutti i cittadini maschi fino ai 44 anni. Fu un grande respiro per lui e per tutti coloro con lui condividevano quelle gelide celle, l’arrivo della notizia della approvazione della legge: una grande gioia per tutti, “dentro” e “fuori”. Claudia invece racconta di aver saputo della scarcerazione da un telegiornale della sera del 23 dicembre e ho visto le immagini che lo ritraevamo uscire dal cancello del carcere di Peschiera accolto da uno dei suoi avvocati, l’avvocato Giorgio Tosi, da alcuni familiari ed amici e le interviste che ha rilasciato al giornalista rai del tempo, Fausto Spegni.
«Ancora oggi – affermano Alberto e Claudia -, pensiamo che il servizio civile, prima obbligatorio e poi volontario, ha rappresentato e rappresenta per tanti giovani una opportunità di vita molto importante che a noi “giovani” degli anni 70 non era offerta. Ricordiamo con affetto le testimonianze e le confidenze di tanti giovani in servizio civile obbligatorio e volontario (ragazze e ragazzi) incontrati nell’ambito del nostro lavoro nel sociale o nella nostra vita di impegno civile in gruppi ed associazioni.
Ragazzi e ragazze con cui abbiamo condiviso, ognuno di noi due nelle nostre rispettive esperienze lavorative, dei momenti di crescita e di confronto. In questo momento mi stanno venendo alla mente i volti di tanti giovani che sono stati proprio importanti per i nostri lavori dando rilevanti contributi di freschezza ai progetti di promozione della salute che ci trovavamo a svolgere in ambito professionale».
ho riletto , dopo tanto tempo, il mio profilo riportato in esseciblog Mi ha colpito la completezza delle informzazioni e il modo ” nonvolento” in cui la narrazone si svolge.Ora, anche se in forma ridotta , facco il formatore dei giovani volontari in servzio civile con la grande soddisfazione di trasmettere ai govani i valori della pace e della nonviolenza.
Ora con Claudia, sempre solidale con la mia esperienza,non tralsciando i nostri valori, siamo nonni di quattro nipotini: è molto bello! Un giorno sarò orgoglioso di raccontare loro la storia del loro nonno.Ringrazio l’amico Francesco Spagnolo he immagino abbia scritto il mio profilo e per tutto il lavoro quotidiano di informazine sul servizio civile che ci offre,
Fraternamente. Alberto Trevisan